Frammento tratto da un rapporto del Komandante:
“Da sempre, grazie anche all'esterofilia dei nostri giornalisti, quando arrivava un artista straniero in Italia veniva presentato come un Dio e "faceva uno stadio" naturalmente, cioè ne riempiva uno, facendo una data sola... Ovvio!! Tra l'altro erano considerati degli Dei venuti dall'Olimpo rispetto a noi artisti italiani, sempre un po' troppo nostrani. Poi, facendo un solo concerto, è ovvio che potessero riempire uno stadio; noi invece ne dovevamo fare 50, di date. Fatto sta che, da sempre, solo gli stranieri "facevano gli stadi" e noi invece "facevamo" le balere i palasport, i teatri tenda e solo le curve degli stadi. Questa era una faccenda chiara, certa come il sole, duratura e addirittura giustificata dai nostri critici per la grande differenza artistica che naturalmente - secondo loro - c’era tra noi e questi fenomeni soprannaturali.
Enrico Rovelli, tra le tante altre cose, è anche il fondatore del "Rolling Stone", il locale più rock di Milano, che mi aveva scoperto e mi aveva subito capito e mi aveva fatto suonare nel suo tempio del rock milanese; poi era diventato il mio impresario e mi organizzava le tournée in tutta Italia. Nel '90 ebbe la pazzesca idea di affittare San Siro per un concerto mio a Milano. Era una classica sfida "alla Rovelli", mezza pazzesca e mezza pensata. Rovelli conosceva bene Milano e i milanesi, sapeva quanto ormai mi volevano bene. Erano stati i primi ad adottarmi, capirmi, seguirmi. Ricordo che con colpa d'Alfredo andarono completamente fuori di testa, le radio la mettevano su continuamente ma, conoscevano anche il mio rock ed era come se mi avessero adottato, lasciandomi prendere il testimone da Finardi, che si era un po’ calmato…e permettendomi di continuare la straordinaria esperienza della Premiata Forneria Marconi che... se non si fosse divisa da Pagani!!!!......
Fatto sta, ancora, che arrivarono 75.000 persone.
Madonna ne fece 40.000 e il manager dei Rolling Stones ebbe la simpatica idea (tutta inglese) di chiedermi se volevo fare da supporter al loro concerto…per far vendere qualche biglietto. Una proposta indecente, perchè fatta all'ultimo momento, senza la possibilità di prenderla sul serio e che quindi, naturalmente, rifiutai.
Nel giro di tre giorni era come se l’universo si fosse capovolto.
Tutto era cambiato. “Vasco uccide Madonna” - titolava il Corriere - "e si permette di rifiutare i Rolling Stones!!!"
Quella è stata la svolta epocale di cui sono stato partecipe e della quale sarò eternamente fiero. Oggi posso dire con orgoglio, ed a nome di tutti gli artisti italiani, che gli stranieri adesso, quando vengono in italia, devono prima bussare.
È una stata una enorme soddisfazione per la musica italiana riuscire - a fatica, grazie solo alle proprie forze e alla propria qualità - a riconquistare pubblico e critica tornando ad essere al centro del cuore e della cultura degli italiani. ....E io c'ero!!!
E come diceva Alberto Sordi: "…A noi c'ha rovinato la guera!!!”
V.R.
Vasco Rossi e Luciano Ligabue sono due pianeti diversi, appartengono a due generazioni diverse, sono distanti tra loro sia nella forma che nella sostanza, e quindi saranno sempre come il sole e la luna.
In realtà non hanno mai litigato veramente… Ma ciò che è insopportabile e scorretto è questo continuo tentativo di farli entrare in competizione tra loro anche quando in competizione tra loro non sono, non sono mai stati né potrebbero mai esserlo.
E invece c'è sempre qualche giornalista che tira fuori una presunta competizione fra i due: "Allora chi è il re del rock?”; "Quest'anno chi farà più gente ai concerti?”; "Chi riempirà San Siro?”… Insomma, chi vincerà questa gloria da stronzi?
Andrebbe forse bene se fossero come Coppi e Bartali, come i Beatles e i Rolling Stones… o come Biancaneve e i sette nani! Potrebbe anche essere divertente, cioè, se fossero almeno della stessa generazione, se giocassero allo stesso gioco, se appartenessero allo stesso tempo.
Il paragone artificioso e forzato tra un Vasco Rossi - che ha esordito alla fine degli anni Settanta, che negli anni Ottanta ha rivoluzionato per sempre il modo di scrivere le canzoni e che negli anni Novanta ha aperto gli stadi agli artisti italiani (fino ad allora concessi soltanto alle grandi star internazionali) - e un Luciano Ligabue - che è nato artisticamente solo negli anni Novanta - non è solo incongruo ma perfino scorretto.
Negli anni Settanta e Ottanta c’erano soltanto il rock straniero e la musica d’autore italiana. Si doveva per forza passare dai Led Zeppelin a Claudio Baglioni, dai Rolling Stones ai Righeira o dai Deep Purple ai Pooh.
Vasco Rossi ha rivoluzionato, cioè stravolto e cambiato per sempre il modo di concepire la musica in Italia. Ha disertato le canzoncine estive e le classiche canzoni d’amore, iniziando con un coraggio inedito a parlare di realtà socialmente scomode -e spesso addirittura nascoste o negate come la droga-.
E’ per questo motivo che all’inizio della sua carriera e per più di dieci anni è stato considerato soltanto un pazzo o un balordo. E’ per questo motivo che è stato perseguitato dalle offese continue e gratuite dei giornalisti e messo continuamente in cattiva luce, boicottato perfino dai politici che gli facevano negare gli spazi per i concerti perché lo consideravano non solo un cattivo esempio, ma un vero e proprio corruttore di giovani! E’ Vasco Rossi che ha rotto gli argini dell’ipocrisia e del perbenismo, della censura e del giudizio bigotto. E’ Vasco che aperto le porte alla canzone italiana così come la conosciamo oggi. E tutto questo Vasco lo ha fatto da solo.
Lo ha fatto da solo e contro tutti e tutto, come un eroe, insistendo con forza, con passione, con rabbia e con tenacia, nel tempo.
Nessuno dei cantanti che oggi conosciamo ha fatto, ha mai dovuto fare né mai si sognerebbe di fare la gavetta che ha fatto Vasco quando, ancora sconosciuto, cantava nelle feste di Piazza, di fronte anche a meno di 500 persone, conquistando il pubblico riluttante (quando non addirittura ostile!) a forza di quelle ripetute ondate di energia che sempre e soltanto lui ha saputo sprigionare dal palco.
E’ così che Vasco ha iniziato ad avere successo: lasciando attoniti cinquecento spettatori per ogni concerto. Cinquecento persone che tornavano a casa a raccontare la straordinarietà dello spettacolo al quale avevano appena assistito, e quindi la volta dopo diventavano subito il doppio, il triplo…
Vasco ha conquistato il proprio successo senza l’aiuto di una major, cioè senza nessuna potente etichetta discografica che pensasse a promuovere, produrre e distribuire i suoi dischi alla grande, come invece di regola accade adesso. Niente e nessuno lo ha lanciato a livello mediatico. Giornali e televisioni se parlavano di Vasco… ne parlavano male!
Soltanto nel 1982, grazie alla lungimiranza (isolata!) di Gianni Ravera, Vasco ebbe la possibilità di presentarsi di fronte al “grande pubblico”, ma comunque in una manifestazione, come quella del “Festival dei Fiori”, che era lontana mille anni luce da lui e dal suo modo di fare canzoni. Eppure Vasco ci andò ugualmente, anche se quel palco e quel pubblico davvero non gli appartenevano, perché era determinato a farsi conoscere, deciso a continuare per la sua strada investendo tutto, giocandosi tutto, mettendo a rischio perfino la propria stessa vita, e cioè andando veramente al massimo.
Malgrado tutti i suoi collaboratori gli avessero vivamente sconsigliato di presentarsi su quel palco, nel timore che il “grande pubblico” non fosse ancora pronto per apprezzare un personaggio e un modo di fare canzoni così atipici per quell’epoca, Vasco volle fare di testa propria accettando coraggiosamente l’invito di Ravera. Non fu certo una decisione presa alla leggera e avrebbe davvero potuto rivelarsi un’imprudenza disastrosa, ma Vasco sentiva ormai che la sua “urgenza comunicativa” aveva bisogno di superare i confini che fino allora lo avevano caratterizzato solo come “cantante di nicchia”.
La sua partecipazione al Festival fu un vero e proprio evento per la storia della canzone italiana: in un mercato discografico da sempre dominato da cantanti melodici leggeri e da cantautori “politicamente impegnati”, e in un emergente contesto radiofonico in cui impazzava sempre di più la “Disco Music”,
il suo rock genuino e provocatorio apparve assolutamente alieno: perché Vasco Rossi fu il primo rocker in assoluto!
Di Rossi ce n’erano – e ce ne sarebbero stati- tanti, ma di Vasco solo uno!
L'esibizione di Vasco al Festival nel 1982 fece molto scalpore: si presentò in modo rock, spontaneo e irriverente come nessun altro, tanto che qualcuno credette perfino che fosse ubriaco, quando in realtà non faceva altro che impersonare e seguire coerentemente lo spirito provocatorio e goliardico sia del testo che della musica di “Vado al massimo”. Si divertì perfino a cantare fuori tempo – o a fare un duetto con se stesso! -, visto che il playback (allora usato anche a Sanremo) gli sembrava uno scherzo, essendo ormai già abituato da anni a suonare dal vivo.
La sua performance rimase impressa a tutti, e ancora oggi resta un video-
frammento famoso e prezioso ricercato e custodito tanto su YouTube quanto negli
archivi storici della RAI.
Vasco assistette e fu strumento di una svolta epocale che quella sera fece Sanremo. Certo non tanto o non solo per merito suo, ma soprattutto per merito di Gianni Ravera che, con la scelta di mandare in finale lui eliminando invece Claudio Villa, cambiò la stessa natura storica (classica e già al tempo un po’ anacronistica) del Festival trasformandola in quella manifestazione moderna che è tuttora.
L’anno seguente Vasco tornò al Festiva di Sanremo con “Vita Spericolata”, una canzone che, da sola, vale già un’intera e meritata carriera, una canzone davvero unica e ormai storica, anzi praticamente mitica! I giornali e le televisioni, il giorno dopo, parlarono del fatto che Vasco era visbilmente ubriaco, aveva inciampato sul palco ed era andato via prima della fine della canzone, ma non della canzone! La presentò per la prima volta Carlo Massarini, 20 giorni dopo, nel suo programma dicendo: "Erano molti anni che non sentivo un brivido così forte dietro la schiena ascoltando una canzone...."
Claudio Bardi